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Counseling Day 2023


 
Passato e presente. Come stanno oggi le professioni in Italia? Dalle lettura di recenti inchieste comparse sugli organi di stampa nazionali potremmo dire “non tanto bene”. Il fatto in sé non dovrebbe meravigliare se si pensa che le professioni sono ancora normate con leggi pensate cento anni fa, quando il professionista costituiva una piccola èlite e gli ordini si componevano per lo più di qualche decina di iscritti a provincia. Il fenomeno della concorrenza tra professionisti era quasi assente: la domanda era superiore all’offerta. Le professioni erano poche e generaliste. Ognuno poteva abbracciare tutta la conoscenza necessaria per esercitare decorosamente una professione e il timbro che gli veniva rilasciato al superamento dell’Esame di Stato era vero: chi lo possedeva “sapeva” la professione, in quanto lo sviluppo della conoscenza era lento e ciò che aveva imparato all’Università era sufficiente per la sua vita professionale: il manuale del Colombo, che è il Bignami dell’ingegnere civile, si concludeva in un centinaio di pagine; oggi, il nuovo Colombo, né ha diverse migliaia.

Non serve dilungarsi per raccontare che il mondo è cambiato. Ora accedono alla professione tutti i ceti sociali; gli ordini sono aumentati di numero (c’è stato un periodo in cui un nuovo ordine non si negava a nessuno) e di iscritti. I circa 1800 ordini provinciali o regionali costituiti prelevano intorno a 2 miliardi di euro l’anno dalle tasche dei professionisti obbligati ad iscriversi, ma non è chiaro ai più cosa facciano, oltre a gestire il piccolo potere connesso alle cariche. La concorrenza tra professionisti è diventata agguerrita. Le professioni generaliste non esistono più. Dirsi avvocato non spiega cosa fai se non aggiungi la specializzazione. Il timbro rilasciato con l’Esame di Stato è falso in quanto chi lo riceve “sa” solo una piccola frazione di ciò per il quale gli viene data la patente.

Il tema della riforma delle professioni è nell’agenda politica italiana da oltre 25 anni (Commissione Perticone 1982), ma da allora il Parlamento non ha impegnato neppure un’ora di aula per discuterne. Machiavelli ammonisce i governanti a non impegnarsi a creare nuovi sistemi in quanto “per colui che li propone ciò produce l’inimicizia di coloro i quali hanno profitto a preservare l’antico e soltanto tiepidi sostenitori in coloro che sarebbero avvantaggiati dal nuovo”. Sembra che cinquecento anni non abbiano cambiato la sensibilità dei nostri governanti e che nulla si sia fatto per promuovere il cambiamento, quello vero, quello che parte dai cittadini per arrivare ai cittadini.

Le proposte di riforma delle professioni depositate agli atti di questa legislatura si affannano a regolamentare le professioni ordinistiche, con grande attenzione a non cambiare nulla di sostanziale. Solo marginalmente le proposte si occupano di sciogliere il nodo gordiano del vero rinnovamento: quello dell’ introduzione nel sistema delle professioni del metodo accreditatorio delle competenze (tipico delle associazioni), accanto a quello autorizzatorio (tipico degli ordini), così da creare un sistema duale e sinergico, che prenda il meglio dai due.

Invero questo tema era stato ottimamente affrontato nella proposta di riforma del Governo Prodi che però, dopo averla approvata il 1° dicembre 2006, si è spaventato della portata rivoluzionaria del provvedimento è non ha saputo resistere alle pressioni delle lobby ordinistiche che, di fatto, hanno impedito il varo di una riforma utile alla crescita della economia ed a costo zero.

Ma c’è di peggio. I “fatti” prodotti dal Parlamento vanno nel senso contrario, come la legge del 2006 che istituisce, con votazione quasi unanime, dodici nuovi ordini per le professioni sanitarie, o come la riforma dell’ordinamento forense approvata nel Novembre scorso in Commissione Giustizia del Senato, con la sostanziale approvazione delle opposizioni (i resoconti parlamentari parlano di astensione, ma il dibattito registra l’adesione sui punti qualificanti in negativo il provvedimento). Un testo quest’ultimo che estende le riserve di legge alla consulenza, limita l’accesso alla professione, reintroduce i minimi tariffari, etc, tutte cose che non vanno certo nella direzione della tutela dei cittadini, come si vorrebbe far credere, quanto piuttosto verso una estensione dei privilegi in capo a quei professionisti.

Una politica che non promuove il cambiamento non è una buona politica. E non è buona politica quella che recepisce direttive comunitarie innovative come la direttiva qualifiche e la direttiva servizi per la piena circolazione dei professionisti europei (quindi anche in Italia), senza però provvedere a dotare il professionista associativo italiano degli strumenti normativi che consentano anche a lui di circolare in Europa ed usufruire dei vantaggi di un sistema libero e concorrenziale.

E allora: come stanno le professioni oggi in Italia? Direi non bene e con la salute in peggioramento, soprattutto le più giovani: i medici che avevano promesso di curarle sono tutti in terapia intensiva per rianimare vecchie signore rugose affette dal morbo della conservazione. Per questo sono anche molto seccate, in particolare con quelli che avevano promesso di occuparsi di loro.

titolo: Ecco perchè manca il coraggio di cambiare
autore/curatore: Giuseppe Lupoi
fonte: AREL
data di pubblicazione: 19/02/2010

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